La crisi economica: analisi, soluzioni e proposte.

 

SALVIAMO IL MONDO

Quello che segue è il primo capitolo del mio libro “L’ULTIMA MISSIONE DELL’UMANITA’”, dove cerco di riassumere tutte le cause dell’attuale grande crisi dell’economia, della società, dell’ecologia e dei valori. E dove espongo le possibili soluzioni. Chi vuole approfondire le mie teorie e le soluzioni che propongo, è invitato ad acquistare il mio libro, che uscirà a breve.
Alla fine di queste pagine raccoglierò anche i link ai siti web e agli articoli dei giornali più significativi, relativi agli argomenti strettamente inerenti al tema del mio libro.

 

L’ULTIMA MISSIONE DELL’UMANITA’

Tutti insieme dobbiamo e possiamo salvare il nostro mondo.

Premessa

Siamo vicini al collasso della nostra civiltà?

I segni premonitori sono purtroppo sempre più evidenti:

  • Sovrappopolazione
  • Disuguaglianze estreme e crescenti
  • Povertà in crescita
  • Il lavoro manca sempre di più e, quando esiste, è precario e sottopagato
  • L’equilibrio ecologico del pianeta è sempre più compromesso
  • Il riscaldamento globale (figlio dell’inquinamento) provoca desertificazione e catastrofi sempre più frequenti
  • Abbiamo sempre più vecchi e sempre meno bambini
  • Assistiamo a migrazioni epocali dal Sud del Mondo verso i paesi industrializzati
  • I venti di guerra soffiano ovunque sempre più forti e minacciosi
  • ……………….

Esistono soluzioni praticabili?

 

Prima di analizzare approfonditamente le cause e le possibili soluzioni di questo sbandamento della civiltà umana, voglio iniziare questo libro con un’affermazione che ci restituisca la speranza:

Si!! Abbiamo tutta la conoscenza, la capacità e i mezzi per salvarci dall’attuale spirale autodistruttiva!!

Il problema sta nella smisurata avidità di moltissimi uomini, che si oppongono con ogni mezzo a qualsiasi cambiamento di questa situazione. Sto parlando dell’uno per cento della popolazione mondiale, che dalle attuali scelte economiche ha tratto un indubbio vantaggio. Si tratta soprattutto dei grandi industriali e dei finanzieri, ma subito a ruota anche dei politici e degli amministratori pubblici; di chi ha incarichi di guida e di coordinamento; dei professionisti più capaci e innovativi; dei piccoli e medi industriali e commercianti che, oltre a spiccate capacità imprenditoriali, hanno anche il dono di saper fiutare dove si indirizza il mercato… A fianco di tali persone (per molti versi positive), prosperano anche truffatori, individui senza scrupoli e veri e propri criminali, per i quali una società torbida e spietata, come quella attuale, è un perfetto brodo di coltura dei loro interessi.
Tutto questo variegato mondo di personaggi, a vario titolo, “arrivati” e “vincenti”, costituisce poi una piramide di potere, organizzata in modo da garantire stabilità e sicurezza, soprattutto per chi ne occupa i gradini più alti. Per esemplificazione, possiamo immaginare che questa piramide abbia otto gradini: alla base sta l’uno per cento della popolazione, fedele e obbediente a tutti coloro che sono più in alto, per poter mantenere i vantaggi economici ottenuti in questi ultimi venti anni. Nel secondo gradino troviamo l’uno per mille; per proseguire poi verso la vetta della piramide, con percentuali del denominatore multiple di dieci. Nell’ottavo gradino troviamo l’uno per miliardo della popolazione: circa 7 o 8 persone che da soli possiedono tanta ricchezza quanto quella della metà più povera della popolazione mondiale (dato diffuso da Oxfam nel 2017).

I dati di Oxfam 2017 sono stati da varie parti contestati, ma resta il fatto che, se anche il numero di miliardari, che da soli possiedono la ricchezza di 3 miliardi e mezzo di persone, fosse di 61 (invece di 8) nel 2016 e 42 nel 2017 (come poi corretto da Oxfam stessa nel rapporto 2018), l’evidente disuguaglianza resterebbe ugualmente spaventosa e inammissibile. Molto probabilmente la correzione dei dati di Oxfam (basati sulle ricerche di Credit Suisse, a loro volta corrette nel 2018) è poi avvenuta a causa delle suddette pressioni e contestazioni; ma la progressiva rapidissima concentrazione di ricchezza nelle mani di 80, poi 61 e poi 42 miliardari, nell’arco di soli 4 anni, ne indica comunque la sostanziale correttezza.

Può sembrare che opporsi a questa élite, che ha occupato gran parte dei vertici di comando e delle posizioni chiave dell’intero pianeta, sia quanto meno illusorio, se non addirittura impossibile. Ma se vogliamo evitare una catastrofe economica, sociale ed ecologica ormai imminente, non abbiamo altra scelta che rifondare drasticamente le basi economiche e sociali di tutta l’Umanità.

Nelle mie argomentazioni sulla Crisi Globale tratterò soprattutto gli aspetti economici e sociali, ma devono essere tenute ben presenti anche le problematiche relative sia all’esaurimento delle risorse e delle materie prime, che all’inquinamento e al conseguente cambiamento climatico.

I primi allarmi furono dati già nel 1972, pubblicati nel libro “I limiti dello sviluppo”, da un club di scienziati, economisti, politici, personalità della cultura ed esperti di ogni genere (il Club di Roma). Previsioni poi pienamente confermate dagli stessi ricercatori, prima nel 1992, e poi nel 2004. Finché, il 13 novembre 2017, oltre 15.000 scienziati di 184 paesi, che hanno concluso nuovi approfonditi studi, hanno pubblicato i risultati e una dichiarazione congiunta con questa conclusione:
Presto sarà troppo tardi per salvare il Pianeta”.

Pochi giorni dopo, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che “I cambiamenti climatici sono la questione cruciale per il destino dell’Umanità”.
E, a ruota, il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso una pessimistica constatazione: “Stiamo perdendo la guerra del clima”.
Ma la rifondazione economica e sociale che voglio proporre ha la potenzialità per risolvere anche la crisi ecologica e climatica. Dobbiamo solo volerla attuare.

 

 

CAPITOLO 1

La crisi economica: analisi, soluzioni e proposte.

Negli anni 80 Piero Angela, con la sua trasmissione “Quark”, ci spiegava che la tecnologia avrebbe donato a tutti gli uomini un grande benessere, riducendo al contempo anche gli orari di lavoro. E tutto questo probabilmente entro l’anno 2000 (data magica). Fino al 1992 quell’ottimistica predizione si dimostrò effettivamente possibile. Ma dal ’92 abbiamo assistito ad un vero e proprio esponenziale capovolgimento della situazione.                 
Nel 1992 (in tutti i paesi industrializzati occidentali) avevamo ogni motivo per assaporare le maggiori aspettative di sempre riguardo al futuro nostro, dei nostri figli e di tutta la nostra società. Chi non era mai stato molto ambizioso, non sperava in niente di straordinario, ma la posizione economica delle famiglie era più che soddisfacente. Per i nostri figli si apriva un futuro di relativa ma marcata sicurezza. Il ricordo della situazione di povertà in cui avevano versato i nostri nonni e i nostri genitori (e anche molti di noi: almeno quelli nati fino ai primi anni cinquanta) era divenuto qualcosa di caratteristico da raccontare a veglia, con il piacere derivato dallo scampato pericolo. La stragrande maggioranza dei cittadini dei paesi occidentali più industrializzati, fra il 1944 e il 1992, ha goduto di un crescente benessere. E dal 1980 ad oggi ben tre generazioni sono potute arrivare con serenità ad affrontare il loro “ultimo viaggio su questa Terra”. Tutti credevano in un mondo, dove i figli sarebbero stati sempre e comunque meglio dei padri. Ma purtroppo, già alle prime avvisaglie dei mutamenti che sarebbero avvenuti con la rivoluzione industriale, la grande finanza e le grandi industrie multinazionali hanno intravisto invece un futuro con immense opportunità di guadagno e hanno iniziato a cercare ogni modo per realizzarle. Così sono state fatte principalmente scelte economiche, che hanno portato larghi benefici solo alle classi più elevate della società (in pratica solo all’uno per cento della popolazione mondiale, mentre il restante 99 si è sempre più impoverito). Il potere finanziario e industriale, con la classica leva della corruzione, ha in massima parte asservito il potere politico in ogni parte del mondo; e così i governi sono stati ”costretti” ad assecondare le suddette scelte economiche. Scelte che sono state poi ripetutamente avallate e spiegate dalla maggior parte degli economisti, i quali ce l’hanno presentate come ineluttabili e non sostituibili da alcun altra teoria economica (e men che meno da considerazioni di giustizia sociale).         

Oggi però le conseguenze, derivate dalla crescente abnorme disuguaglianza, stanno creando un diffuso ed esplosivo malcontento sociale. La crisi economica attuale ha molti punti di contatto con la crisi del 1929 ed ha anche alcuni fattori che potrebbero far peggiorare la situazione al punto da far regredire l’intera umanità alla situazione sociale ed economica d’inizio 1900. Penso seriamente che stiamo rischiando un collasso mondiale senza precedenti, che potrebbe anche sfociare facilmente in una guerra devastante. E questo senza contare i prossimi, ormai certi, disastri ecologici, causati dal crescente inquinamento ambientale… i pericoli derivati dalle sempre più frequenti ed estese guerre… l’immane problema delle migrazioni di massa… Comunque tutti problemi derivati direttamente dalle attuali scelte di politica economica.

Partiamo dal presupposto che l’Economia non è una scienza esatta. Vi sono molte scuole di pensiero e addirittura premi Nobel che propagandano teorie molto diverse fra loro. E i risultati, che sono sotto gli occhi di tutti, evidenziano oltre ogni dubbio grossolani errori commessi dagli Stati nell’applicazione pratica di questa o quella teoria. L’attuale crisi recessiva è l’esempio più clamoroso del fallimento di tutte le moderne teorie. Vi sono molti problemi di fondo, che finora nessuna nazione ha avuto il coraggio, ne la capacità di saper affrontare.

Probabilmente la soluzione potrebbe essere  trovata solo con un radicale rinnovamento di tutte le teorie economiche e delle leggi internazionali che le regolano. Anche perché l’attuale sistema economico poggia le sue basi su due teoremi, non dichiarati pubblicamente, ma chiaramente applicati nella realtà attuale e, a mio parere, profondamente errati:

A) Che l’economia possa evitare il rispetto delle leggi fondamentali della Fisica (e che quindi, ad esempio, sia possibile una crescita infinita della produzione).

B) Che l’economia sia esentata dal rispetto delle leggi morali e delle regole che disciplinano la civiltà e i rapporti sociali (così che sia possibile introdurre ed usare nuove forme di schiavismo).

Con tutto questo non voglio affermare che i multimiliardari, che stanno guidando (e affamando) il mondo, siano tutti degli schiavisti che godono al pensiero dell’attuale crescente disuguaglianza. Ma ormai i meccanismi infernali della globalizzazione e della ricerca del maggior profitto al minor costo, stanno imponendo le attuali scelte politiche, economiche, finanziarie e industriali anche a chi vorrebbe seguire principi più umanitari. Chi volesse pagare di più i propri dipendenti, o non delocalizzare la produzione, o non usare escamotage fiscali di vario genere… finirebbe stritolato dalla concorrenza delle altre aziende. Per fermare, o almeno rallentare, questo perverso ingranaggio servono nuove leggi e nuove regole internazionali, che pongano giusti limiti al capitalismo incontrollato e riportino le esigenze sociali nella giusta prospettiva.

 

Dalla comparsa degli uomini sulla terra e fino al 1870, l’economia ha sempre poggiato le sue basi e le sue regole sul semplice fatto che gli uomini avevano sempre avuto scarsissime capacità produttive, e sempre insufficienti per distribuire un minimo di benessere a tutti. Per poter solo sfamarsi, da sempre è stato necessario che la stragrande maggioranza delle persone attive e abili al lavoro prestassero la loro esclusiva opera nell’agricoltura, nella caccia e nella pesca. Restava quindi solo una percentuale minoritaria della popolazione che poteva dedicarsi ad altri lavori: artigiani, professionisti, commercianti, artisti, soldati, ……. (Le analisi statistiche evidenziano che, ancora nel 1870, almeno il 70% di tutti gli individui in attività lavorativa, era impegnato in agricoltura, o nell’allevamento di animali, o nella caccia, o nella pesca.) Quindi, una volta tolte le quote di ricchezza che si autoassegnavano i Re, i loro nobili e dittatori vari di ogni genere, restava ben poco da poter utilizzare sia per migliorare le condizioni di vita di contadini, cacciatori e pescatori, sia per poter svolgere altre attività non strettamente produttive..

In pratica abbiamo sempre avuto economie povere, incapaci di fornire prodotti che eccedessero di molto gli stretti fabbisogni di sopravvivenza, in cui si rendeva indispensabile usare denaro e merci preziose come moneta di scambio. E la moneta non poteva assolutamente essere superiore all’effettiva quantità di beni e di servizi prodotti. In tale contesto gli unici modi per aumentare la ricchezza erano dati da guerre di conquista, depredazioni e schiavizzazione di altri popoli.

Ma, a partire dal 1870, il progresso scientifico e tecnologico ha aumentato progressivamente ed esponenzialmente le capacità produttive, fino a diffondere un generale benessere e a permettere di impiegare una parte sempre più grande della popolazione attiva in mestieri, professioni e lavori di ogni genere. Il settore in maggiore espansione è stato quello dei servizi (chiaro indice di ricchezza degli Stati). Negli ultimi venti anni poi, abbiamo avuto addirittura grossi problemi di sovrapproduzione; cioè nel mondo si produce molto più cibo e beni essenziali di quanto siano necessari. Beni e risorse alimentari che poi, purtroppo, non riusciamo a distribuire equamente. Abbiamo risorse umane e tecnologiche sufficienti a produrre ogni genere di consumo in qualsiasi quantità, salvo poi scontrarsi con le enormi difficoltà di smaltimento e riciclo. E’ quindi evidente che oggigiorno, con un’oculata gestione, abbiamo la possibilità di elargire a tutti ricchezza, beni e servizi in quantità ampiamente sufficiente per qualsiasi necessità.

In pratica abbiamo finalmente un’economia ricca, che, ben gestita e ben amministrata, potrebbe distribuire un grande benessere a tutti. In teoria potrebbe iniziare un’età dell’oro per tutta l’Umanità.

Il mondo si è finalmente riscattato dalla sua millenaria povertà. Serve solo darsi regole di saggezza e di giustizia, che riducano le disuguaglianze, che impieghino ogni uomo in una doverosa attività lavorativa (“lavorare meno, lavorare tutti” deve essere l’imperativo), che creino un argine all’attuale sfrenato consumismo (i prodotti devono essere di qualità e di lunga vita)…… Tutto ciò può sembrare utopia, o perlomeno di difficilissima attuazione, ma non è possibile accettare l’alternativa: un mondo dove il lavoro (e la dignità) sarà sempre più assente e dove i pochi fortunati che lavoreranno lo faranno in condizioni sempre più precarie e schiavizzate.

Più avanti in questo trattato, cercheremo di illustrare le nuove potenzialità e quali nuove regole potremmo e dovremmo instaurare, per far beneficiare di tanta ricchezza tutti i popoli di questo nostro pianeta.

Ma per ora, date le enormi difficoltà ad instaurare nuove rivoluzionarie leggi in materia, cerchiamo di analizzare l’attuale crisi globale nel contesto delle vigenti regole economiche.

Molte sono le cause che hanno portato all’attuale crisi (Sovrappopolazione, Corruzione, Inefficienza, Sprechi, Criminalità, Sistema monetario e finanziario marcio nelle fondamenta, Economia basata sulla crescita infinita, Inquinamento, Esaurimento delle risorse e delle materie prime…), ma ce n’è una in particolare che è la madre di tutti i problemi: l’automazione.

Esistono numerosissimi dati e ricerche scientifiche, che ne mostrano chiaramente il futuro tragico impatto sulla nostra società (per nostra intendo a livello mondiale):

Ad esempio, è stato stimato che il 47 per cento dei lavori negli Stati Uniti sparirà presto, a causa dell’automazione (intelligenza artificiale, computer e robot sono i fattori su cui si fonda l’Industria 4.0). Una delle previsioni più accreditate valuta che, entro i prossimi 30 anni in Occidente, i robot potrebbero portare a tassi di disoccupazione superiori al 50 per cento. E, guardando ancora più in là nel futuro, il lavoro umano potrebbe scomparire quasi completamente.

Quindi qualsiasi espediente, finora usato per abbassare il costo del lavoro e per riuscire a contrastare la disoccupazione, è destinato ad infrangersi contro l’implacabile avanzare dell’automazione. Un successivo studio (fatto nel 2016 dai ricercatori Carl Benedict Frey e Michael A. Osborne, dell’università di Oxford) ha infine mostrato con estrema chiarezza quale sia il trend:

Ad oggi le tre maggiori società della Silicon Valley capitalizzano in borsa 1.090 miliardi di dollari con 137.000 dipendenti. Mentre 25 anni fa le tre maggiori aziende manifatturiere americane capitalizzavano in tutto 36 miliardi di dollari impiegando 1.200.000 lavoratori.

 

Automazione e Intelligenza Artificiale sono ormai parte integrante del progresso scientifico e tecnologico della razza umana e non possono certo essere interrotti. Ma questo avrebbe dovuto portare un generale beneficio per tutti gli uomini. Doveva sollevare l’uomo dalla fatica fisica e mentale, per permettergli di dedicare sempre maggiori risorse all’arricchimento culturale e alla realizzazione personale. Doveva favorire un’equa e generalizzata distribuzione del benessere. In pratica doveva aprire la strada ad una nuova Età dell’Oro e favorire la nascita di una più avanzata filosofia di vita, con la quale preparare lentamente l’uomo all’abbandono quasi totale delle attività manuali e alla sostituzione delle stesse con nuove mansioni prevalentemente creative.      
Invece le grandi multinazionali e la grande finanza hanno subito sfruttato le nuove tecnologie principalmente allo scopo di arricchirsi. Le conseguenti scelte politiche ed economiche hanno favorito solo l’uno per cento della popolazione (e sono stati tanto più favoriti, quanto più erano ricchi). Ci sono state (e ci sono tuttora) molte concause a provocare una progressiva crescente disuguaglianza sociale ed economica, ma una in particolare ha accelerato tragicamente questo processo: la Globalizzazione, con la conseguente eliminazione di tutte le frontiere doganali e commerciali!      
Non fraintendetemi, io non sono ne razzista, ne isolazionista. Le frontiere dovrebbero essere abbattute per favorire la libera circolazione delle persone, della cultura e delle idee, ma la libera circolazione delle merci e della produzione delle stesse va permessa solo fra paesi omogenei, riguardo al costo del lavoro e alle politiche fiscali (teoria sostenuta anche illustri economisti, benché chiaramente minoritari).  Questo manterrebbe la capacità produttiva degli Stati e, soprattutto tutti i posti di lavoro. E inoltre spingerebbe le nazioni più arretrate a migliorare le condizioni di vita delle proprie popolazioni, fino a raggiungere livelli simili ai nostri e poter così aderire alle più ricche aree di libero scambio. Mentre attualmente si favorisce la spinta dei salari al maggior ribasso possibile, per ottenere sempre maggiore competitività; e, in questo modo, per poter avere un’occupazione, anche i lavoratori dei paesi occidentali devono progressivamente accettare precarietà sempre maggiori e compensi salariali sempre minori.

E così Automazione e Globalizzazione concorrono vicendevolmente a distruggere il lavoro, o quanto meno a renderlo precario.

Diciamo che, se l’Automazione è la madre di tutti i problemi, la Globalizzazione ne è diventata il padre. E questo matrimonio che sta distruggendo la nostra società e il nostro pianeta.
Chiaramente gli organismi internazionali (FMI, Banca Mondiale, OCSE, WTO, Unione Europea, …), governi, industriali e finanzieri si sono resi perfettamente conto di questi problemi. Sapevano benissimo che, senza alcun intervento, la concorrenza dei paesi a bassissimo costo del lavoro avrebbe molto rapidamente buttato a terra tutte le attività industriali e commerciali di tutti i paesi “occidentali”. In questo modo i paesi (ex ricchi e industrializzati) sarebbero presto piombati nella povertà e con livelli biblici di disoccupazione di massa. Tale situazione avrebbe creato un grave scompenso nelle relazioni commerciali internazionali, con la conseguenza di innescare una gravissima recessione globale. E si sarebbero drasticamente ridotti anche gli attuali immensi profitti.
Per scongiurare tale scenario, non volendo naturalmente rinunciare alla globalizzazione, hanno pensato (con grande successo, dal loro punto di vista) di rendere il lavoro precario e deregolamentato e di ridurre sempre più tutti i costi accessori (pensioni e sanità, ma anche scuola, trasporti e servizi pubblici in genere). E così tutti gli organismi internazionali chiedono (o meglio impongono) a tutti gli stati membri un marcato rigore di bilancio; rigore di per sé giustificato, se non fosse visto soprattutto nell’ottica della riduzione generalizzata del costo del lavoro. Gli stessi organismi “incentivano”, con eccezionale determinazione, i governi ad introdurre modifiche legislative, che favoriscano il lavoro a tempo determinato e tutta una serie di modalità di impiego precario, sempre con lo stesso fine di abbassare il costo del lavoro (e quindi anche i salari).
In questo scenario è nata la flessibilità, che prevede il jobs-act italiano, il jobs-act americano, (presto quello francese), i “contractos temporales” spagnoli, il mini-job tedesco,…, le cooperative di lavoratori, la diffusa imprenditoria (partite iva giovani)… Tutte soluzioni che rendono i lavoratori ricattabili e, in molti casi, addirittura schiavizzati dai propri datori di lavoro (per gli esempi più eclatanti, vedi Ryanair, Ikea, Amazon…). In questi ultimi tempi stanno fiorendo, su tutti i giornali, un’infinità di articoli che denunciano come i figli (quando hanno un’occupazione) lavorino più dei loro padri, per un compenso ridotto alla metà, se non addirittura a un terzo. Ma è proprio per questo che la disoccupazione non è esplosa in modo davvero esagerato e che il PIL è tornato a crescere.

Quando Matteo Renzi (come molti altri in tutto il mondo) rivendica l’aumento dei posti di lavoro, per merito del jobs-act, ha fondamentalmente ragione, ma evita di dire quanto, in cambio di questo, siano aumentati la povertà, lo sfruttamento e la precarietà. E neanche accenna al fatto che i maggiori profitti siano andati solo nelle tasche dei più ricchi.
Le sinistre riformiste di ogni paese si sono convinte che il lavoro precario, benché fondamentalmente negativo, sia però il male minore e necessario per contrastare efficacemente la disoccupazione e la delocalizzazione delle attività produttive.

Ma, nonostante tutto questo, non si riuscirà mai a tenere il passo della perdita di posti causata dall’automazione. Quindi in un molto prossimo futuro il lavoro umano forse non esisterà quasi più. Dovremo perciò riuscire a mettere in atto soluzioni tanto innovative, quanto drastiche, altrimenti l’attuale struttura della società internazionale e globalizzata collasserà su se stessa. Ma, in attesa di future soluzioni (e di future evoluzioni sociali e creative dell’Umanità), dobbiamo intanto provvedere ad ogni costo a dare una giusta e doverosa occupazione ad ogni uomo e ad ogni donna in età produttiva.

La mancanza di lavoro, ma anche la precarietà, sono anzitutto gravissime ingiustizie sociali e morali, che non possono e non debbono avere alcun tipo di giustificazione. L’uomo, senza lavoro, non ha più futuro, ne dignità, ne diritti (come sta ripetendo incessantemente anche Papa Francesco). I vari redditi di inclusione, di dignità, di cittadinanza… inventati ultimamente dai politici, sono solo miserabili elemosine, che non tengono minimamente conto dei diritti fondamentali dell’Uomo. Oltretutto i governi sono anche incapaci di trovare le risorse, che sarebbero necessarie per applicare questi sussidi su larga scala, e che, quindi, restano solo dei miraggi, o poco più. Invece è tutta l’Umanità (non solo i governi) che dovrebbe rispettare l’imperativo morale di adoperarsi in ogni modo per garantire un minimo di dignità a tutti, uomini e donne. E per realizzare questo è fondamentale dividere equamente il lavoro fra tutti.      
Per esemplificare quello che ogni governo dovrebbe impegnarsi a garantire, prendiamo ad esempio le piccole aziende familiari, perché quello che vale in una famiglia, dovrebbe valere allo stesso modo anche per comunità di qualsiasi ordine di grandezza.         
Se nella piccola azienda il fatturato complessivo diminuisce, sia il minore lavoro che il minore guadagno verranno suddivisi (più o meno) equamente fra tutti i componenti della famiglia. Di certo non verranno esclusi dal lavoro e dagli introiti i membri meno produttivi, o meno intelligenti, o meno creativi… D’altro canto possiamo pensare anche alle aziende familiari che, con grande spirito innovativo e notevoli capacità imprenditoriali, riescono ad inserirsi in nicchie di mercato ad alta redditività. Anche in questo caso non è che, per ottenere il contenimento dei costi e conseguenti maggiori margini di guadagno, verranno estromessi dall’attività i familiari meno capaci e produttivi. Oppure pensiamo anche alle leggi che, in tutti i paesi più civili, proteggono i portatori di handicap, fornendo loro una indennità e anche una qualche forma di attività.

                
Proteggere le fasce più deboli della popolazione non è solo un imperativo morale, ma anche un investimento sul futuro dell’intera Umanità. Il recente grande balzo in avanti della tecnologia è frutto principalmente dell’istruzione diffusa, delle conoscenze aperte a tutti, dell’applicazione di leggi che hanno tutelato i più deboli e difeso la società dall’eccessivo potere dei più forti. Se questi fattori fossero stati attivi ed applicati già nell’antichità, il progresso odierno sarebbe iniziato già qualche migliaio di anni fa, ed ora avremmo raggiunto vette ancora impensabili.

Attualmente i giovani vengono incitati a primeggiare negli studi, ad essere aperti e coraggiosi, a sapersi vendere con atteggiamenti estroversi ed originali, ad essere imprenditori di se stessi, ad avventurarsi lontani da casa in altri luoghi e in altri paesi… Tutto questo ci dice che i ragazzi più intraprendenti, più originali, più intelligenti, più preparati… hanno le strade aperte anche in questo mondo difficile. E’ vero, ma i giovani geniali sono solo una ristretta minoranza; e di tutti gli altri cosa dobbiamo farne?
I timidi, gli introversi, quelli con intelligenza media o leggermente inferiore, in una sola parola i “normali”… sono in pratica dei portatori di handicap. Hanno disabilità meno gravi, rispetto agli handicap riconosciuti ufficialmente, ma nell’attuale selvaggia competizione globale, hanno ugualmente bisogno di aiuto.     

Chi di noi, che ha uno o più figli “normali”, o peggio ancora chiusi ed introversi, si sente soddisfatto quando questi ragazzi vengono “scartati” dalla società?           
Senza addentrarmi ancora in proposte più dettagliate (che presenterò in seguito), direi che il primo provvedimento, che dovremmo tutti aspettarci dai governi e dalla società civile, sarebbe quello di dividere il lavoro esistente fra tutta la popolazione attiva (uomini e donne, giovani e vecchi), diminuendo proporzionalmente gli orari di lavoro; anche se questo, nell’attuale sistema economico, comporterebbe una proporzionale diminuzione dei salari.  Assicurare la possibilità di lavorare a tutti dovrebbe essere l’obiettivo primario e imprescindibile; dovrebbe essere il primo diritto di ogni carta costituzionale; e per ogni governo dovrebbe essere il primo obbligo da adempiere, senza alcuna eccezione. Infatti la nostra stessa Costituzione Italiana imporrebbe questo obbligo addirittura nei suoi primi quattro articoli:

 

Art. 1

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Quindi, per l’articolo 1, il lavoro è il fattore fondante della società.

L’articolo 2 richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale (assicurare il lavoro è certamente la migliore solidarietà). Casomai, nel primo capoverso, dove  l’articolo recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, credo che i Costituenti avrebbero dovuto aggiungere e puntualizzare che “Il primo diritto inviolabile è il lavoro”. E comunque, a mio parere e nell’argomentazione complessiva dei quattro articoli, credo che questo diritto possa considerarsi sottinteso.

La mancanza di lavoro crea di fatto tutte le limitazioni descritte nel secondo capoverso dell’articolo 3.Ed è quindi compito della Repubblica rimuovere tale ostacolo.

L’articolo 4 conclude l’ampia carrellata di diritti e doveri dei cittadini e della Repubblica relativamente al lavoro, dichiarando il proprio impegno primario alla sua garanzia.

Un maggiore riconoscimento sarebbe quasi impossibile, ma purtroppo, da questo punto vista, la Costituzione Italiana è rimasta per ora solo una dichiarazione d’intenti.

DATE SALIENTI DELLA MODERNA SOCIETA’ GLOBALIZZATA

 

1993-2017 Nel mondo esplode la globalizzazione, favorita anche da numerosi trattati di libero scambio. Ma inizia anche la contrazione dell’economia e la crisi dei debiti sovrani. In Italia la protesta popolare affonda i vecchi partiti politici e favorisce l’alternanza di governo fra Centro-Destra (a guida Forza Italia) e Centro-Sinistra (a guida P.D.).
1993 Trattato di Maastricht fra i 12 membri della Comunità Europea.
1994 Trattato di libero scambio NAFTA fra Stati Uniti, Canada e Messico.
1995 Nasce l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO in inglese).
2001 La Cina entra nel WTO.
2002 Nasce l’Euro.
2006 Il Vietnam entra nel WTO
2017 Attualmente aderenti al WTO ben 164 paesi e altri 22 come osservatori. Obiettivo del WTO è l’abolizione o almeno la riduzione delle barriere tariffarie al commercio internazionale.

Nel riquadro precedente ho inserito tutte le principali date in cui sono stati firmati i trattati di libero scambio. Perché quegli accordi sono serviti non a migliorare la vita dei cittadini e dei popoli, ma solo a favorire le attività commerciali della grande finanza e della grande industria. Da quei trattati è conseguita poi una competizione selvaggia, che è servita solo ad esportare/importare disoccupazione e precarietà. Anche l’adesione del Vietnam al WTO, di per sé non significativa, acquista grande importanza simbolica, per il fatto che si tratta di uno stato con bassissimo costo della manodopera, dove addirittura la Cina stessa delocalizza le sue produzioni.

Attualmente, nei paesi occidentali più industrializzati, abbiamo ancora un ottimo livello di vita, se rapportato alla media dei primi 70 anni del 1900. Ma basiamo questo livello sulla ricchezza accumulata dal 1960 fino al 2000, e sulla stabilità sociale ed economica degli ultraquarantenni, che hanno ancora un lavoro a tempo indeterminato o una buona pensione. Mentre tutti quelli che hanno sotto i 40 anni, non hanno più un futuro sicuro e nemmeno un presente decente.

Via via che gli odierni ultraquarantenni si assottiglieranno di numero, fino a scomparire, il futuro più probabile sarà un’apocalisse sociale e finanziaria.

Il potere economico (e di conseguenza anche quello politico) è in mano alle grandi multinazionali e tutte le più importanti decisioni vengono subordinate al raggiungimento del massimo profitto. Quando i paesi occidentali sono stati investiti (si potrebbe anche dire sommersi) da prodotti di ogni genere, costruiti in paesi con manodopera a bassissimo costo, la nostra capacità di competere è calata sempre più drasticamente. Al progressivo calo delle vendite dei nostri prodotti, le aziende occidentali hanno reagito automatizzando sempre di più il lavoro (e quindi licenziando, o almeno bloccando le assunzioni), precarizzando sempre più il lavoro dei dipendenti (così da abbassarne il costo ed aumentarne la produttività, causa la minaccia di mancato rinnovo del contratto) ed infine delocalizzando la produzione (fattore che ha fatto esplodere definitivamente la disoccupazione).

Tutti i più grandi problemi del mondo del lavoro derivano, alla fine, dalla ricerca spasmodica della sempre più spinta competitività. Vengono mostrate ad esempio e favorite le iniziative imprenditoriali più innovative e avveniristiche, soprattutto dal punto di vista dell’automazione. E, così facendo, si riducono ai minimi termini interi settori professionali e si riduce progressivamente la quantità mondiale delle ore di lavoro complessivamente necessarie per la produzione dei beni di consumo. Nell’ottica della maggiore competitività possibile, vengono sempre più liberalizzate tutte le professioni (dagli operai ai laureati) e si permette in numerosi modi di derogare dai normali contratti di lavoro a tempo indeterminato. Con la scusa di voler favorire i consumatori, si permette l’attività di singoli lavoratori e di cooperative a paghe orarie bassissime. Senza contare l’utilizzo di immigrati extracomunitari in situazioni di vera e propria schiavitù. Gli imprenditori che risultano più vincenti, sia sul mercato interno che su quello internazionale, oltre a usare quasi tutti lavoratori con contratto a termine, si servono di quelli a “partita iva” e, in molti casi, anche di cinesi, nigeriani ed extracomunitari vari, che lavorano al nero in casa propria, sempre per paghe orarie minime. Nel caso dell’agricoltura, poi, dato che l’attività deve necessariamente essere svolta sul “campo”, vengono impiegati immigrati africani (ma anche italiani), con ridicoli compensi di 20 euro giornalieri. E lo Stato, di fronte al ricatto della minacciata chiusura delle aziende, chiude entrambi gli occhi.

Chiaramente gli imprenditori hanno tutto l’interesse a favorire anche l’immigrazione irregolare e a contrastare per quanto possibile l’approvazione di leggi che possano vietare l’attuale giungla retributiva.
Se tutto questo vale per i piccoli e medi imprenditori, per le grandi aziende multinazionali è ancora più facile e conveniente avere sedi gestionali nei paesi industrializzati (Italia, Francia, Germania, Inghilterra, USA, Canada…), sedi commerciali (dove pagare le maggiori imposte) nei paradisi fiscali (compresi Irlanda, Lussemburgo, Gran Bretagna…) e sedi produttive nei paesi a più basso costo della manodopera (Albania, Polonia, Romania, Bulgaria, Messico, Cina, India, Vietnam… e chi più né ha, più né metta). Con questi metodi si sono raggiunti sei risultati principali:

  • Beneficiando delle occasioni di lavoro offerte dalle aziende che hanno delocalizzato la produzione nei loro paesi, le classi più povere del vecchio terzo mondo hanno mediamente raddoppiato il loro reddito (ma sempre ben lontano dall’essere sufficiente; infatti, ad oggi, si valuta un reddito medio di 3 dollari al giorno, quando fino a venti anni fa era di 1,5). Bisogna però tenere presente il fatto che questo aumento non è dovuto ad aumenti retributivi, ma piuttosto alle maggiori opportunità di lavoro. La paga oraria e giornaliera è invece rimasta sostanzialmente invariata.
  • L’automazione del lavoro, il crollo del costo relativo ai trasporti, le nuove migliorate tecniche di lavorazione e l’abbattimento delle frontiere doganali hanno prodotto un marcato aumento del prodotto interno lordo mondiale. Ma di questa ricchezza hanno beneficiato solo le classi più povere ed emarginate (che sono almeno riuscite ad avere un lavoro, anche se con salari da fame) e, in misura molto maggiore, le classi più ricche (l’uno per cento della popolazione). Anzi, più alta è la classe sociale e maggiore è il profitto; con una crescita direttamente proporzionale e in certi casi addirittura esponenziale.
  • L’aumento del reddito nel terzo mondo, sommato all’aumento del PIL, hanno permesso a politici, giornalisti, pensatori ed esperti vari dell’area di pensiero della Destra, di affermare che nel mondo c’è maggiore ricchezza e che tutti ne hanno beneficiato (in base alla famosa statistica del pollo). Ho anche letto varie volte dichiarazioni d’importanti personaggi, che bollano la tanto sbandierata disuguaglianza sociale, come una bufala inventata dai soliti eterni contestatori della sinistra.
  • Precarizzando e sottopagando il lavoro anche nell’occidente industrializzato, sono riusciti a limitare l’esplodere della disoccupazione. Infatti nelle statistiche degli occupati compaiono anche i contratti a termine, i saltuari, le “partite iva”, gli associati alle cooperative… tutta un’enorme massa di persone che però guadagnano la metà (o anche un terzo) dei loro padri e che hanno molti meno diritti e meno assistenza.
  • Il 99% della popolazione possiede attualmente meno della metà dell’intera ricchezza mondiale (e questo vale in tutte le nazioni). Di questo 99 c’è un 20% che negli ultimi venti anni ha mantenuto quasi intatto il proprio tenore di vita (ed è su di loro che politici e industriali fondano il consenso). Tutta la fascia media si è invece impoverita, con giovani ed anziani che ne hanno subito il maggiore impatto. Quelli che hanno tra i 40 e i 70 anni, hanno perso molto potere d’acquisto, ma ancora possono ragionevolmente contare su un posto di lavoro stabile o su una discreta pensione (colpire più drasticamente anche loro sarebbe stato, almeno finora, politicamente impraticabile).
  • Nell’uno per cento più fortunato della popolazione, sono comprese percentuali molto minori (anche infinitesime) che hanno raggiunto livelli di ricchezza davvero enormi. Secondo il rapporto Oxfam 2018, i 42 uomini più ricchi del mondo possiedono insieme tutte le ricchezze possedute dal 50% della popolazione mondiale più povera.

E purtroppo non abbiamo ancora toccato il fondo. Come vi ho già detto, il processo dell’automazione avanzerà comunque ed eliminerà sempre più posti di lavoro e sempre più velocemente (e non solo i lavori manuali di basso livello, ma anche quelli di concetto, professionali e addirittura creativi). Ma se non fosse stato accelerato e disumanizzato dalla caduta di tutte le barriere commerciali e dalla logica imperante del massimo profitto a tutti i costi, avremmo potuto gestire molto meglio la trasformazione del mondo del lavoro. Classi politiche e dirigenziali dotate di saggezza e lungimiranza (e non asservite al potere finanziario) avrebbero potuto usare il progresso tecnologico per migliorare la vita di tutti noi.

Per essere più precisi, se il libero commercio internazionale fosse stato limitato ai soli paesi omogenei fra di loro, per costo del lavoro e per politiche fiscali (ad esempio tutta l’Europa a 15, come era fino al 2003, con esclusione dei paesi dell’Est, e magari comprendendo Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone e simili) gli industriali non avrebbero avuto particolare interesse a diminuire i dipendenti, né a delocalizzare le attività produttive. Questo perché non avrebbero dovuto subire la concorrenza di aziende situate in paesi (come Cina, India e simili) in grado di beneficiare di un costo della manodopera e delle materie prime molto più basso che da noi. In tale contesto economico l’automazione avrebbe avuto l’effetto di diminuire progressivamente gli orari di lavoro, mantenendo o addirittura aumentando i compensi salariali. Allo stesso tempo, la chiusura delle frontiere commerciali avrebbe stimolato le altre nazioni ad adeguarsi ai nostri standard, per poter partecipare al nostro mercato.

Naturalmente sarebbero molte e complesse le scelte di politica economica che dovrebbero essere adottate. Gli errori e le storture dell’attuale sistema capitalistico non si limitano certo alla sola globalizzazione, e dovrebbero essere affrontati nel loro complesso, per ottenere un risultato ottimale.
Per chi se la sente di affrontare un dettagliato approfondimento di questi temi, vi proporrei quindi di visitare in particolare i seguenti siti Internet:

  • www.ilcambiamento.it/articoli/ricordando_maurice_allais  Dedicato al pensiero di un famoso economista premio Nobel francese, Maurice Allais (purtroppo da poco passato a miglior vita);
  • it.federicopistono.org Sito web di un giovane italiano veramente brillante e geniale. Imprenditore, divulgatore scientifico e ricercatore. Ha scritto il libro “I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così”, dove dimostra l’inconsistenza delle attuali teorie economiche e illustra i limiti fisici e naturali della “crescita permanente”.
  • Cercate su Wikipedia e anche su Google “Serge Latouche” (filosofo ed economista francese). Troverete numerosissimi siti che parlano di lui e della sua teoria sulla “Decrescita serena” (con argomenti e soluzioni molto simili a quelle proposte dall’italiano Maurizio Pallante).
  • http://decrescitafelice.it/maurizio-pallante Sito web del “Movimento della Decrescita Felice” (illustrata da Maurizio Pallante, letterato e studioso di politica energetica e tecnologie ambientali), sponsorizzata anche dal Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo.
  • https://www.oxfamitalia.org/oxfamfirenze Oxfam è una confederazione internazionale di organizzazioni no-profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Dalle loro ricerche e dai loro rapporti annuali ho tratto i grafici che fotografano le crescenti disuguaglianze economiche.
  • www.francoquercioli.it E’ il mio personale sito, dove sto raccogliendo un elenco di link a vari articoli e saggi relativi all’argomento di questo libro.

So di proporre soluzioni molto difficili e abbastanza utopistiche, ma io non voglio cedere alla rassegnazione e voglio combattere contro tutti coloro che pretendono di farci accettare, come senza alternative, questo nuovo mondo basato su un capitalismo selvaggio, su una competizione sfrenata e sul quasi totale disinteresse per le persone più deboli. E in questa mia battaglia, sono confortato da molti altri autorevoli studi e pareri si illustri economisti e pensatori, che propongono soluzioni abbastanza simili alle mie. Senza contare il fatto che la stessa comunità scientifica internazionale, a schiacciante maggioranza, da anni grida il suo allarme per la tremenda pericolosità e le gravissime conseguenze di uno sviluppo cieco e incontrollato. 

Se avrete la voglia e il tempo per approfondire queste tematiche, vedrete che la grande maggioranza dei commentatori e degli esperti (economisti e vari altri) più accreditati, presentano le correnti scelte di politica economica come le uniche che sia possibile applicare. Per di più cercano in ogni modo di screditare e ridicolizzare tutti quelli che propongono soluzioni alternative. Bollano di profonda incompetenza chiunque non sia un accreditato economista accademico (trascurando volutamente qualsiasi accenno al fatto che sul fronte opposto siano schierati, benché pochi, anche famosi economisti e addirittura premi Nobel per l’economia). In pratica industriali, finanzieri, politici e amministratori pubblici hanno creato un cartello a difesa dei propri immensi profitti; ed in questa difesa hanno trovato l’appoggio incondizionato della stragrande maggioranza degli economisti.    
Riguardo a questo, cercate in Internet le parole “Il pensiero unico economico” e troverete numerosi articoli (anche di economisti), che spiegano come siamo giunti a questo stato di cose e incitano alla ribellione culturale.

Vale invece rimarcare ancora che l’economia non è una scienza esatta; che teorie economiche diversissime si sono sempre contrapposte sugli storici versanti (conservatori e progressisti, destra e sinistra, capitalismo e socialismo…), con innumerevoli variazioni sul tema. Inoltre le leggi economiche non sono affatto indipendenti ne dalle leggi fisiche, ne da quelle sociologiche; altrimenti avremmo ancora in vigore solo la “legge del più forte”. Quindi i contributi dati da filosofi, pensatori, giornalisti, sociologi, ambientalisti, fisici… e da chiunque stia cercando di riassumere i vari fattori di incidenza sull’argomento, sono non solo legittimi, ma anche sicuramente meritevoli di ascolto, di rispetto e di approfondimento.

Ritengo infine essenziale precisare che, pur essendo simpatizzante delle controverse teorie sulla decrescita (serena e/o felice), non voglio affatto proporre stili di vita particolarmente austeri e preindustriali, ma solo affermare che è giunta l’ora di produrre e consumare in modo responsabile e compatibile con la protezione dell’ambiente e con le risorse disponibili sul nostro pianeta. E’ ormai assodato che, procedendo con gli attuali metodi di produzione industriale, l’equilibrio ecologico e climatico del nostro pianeta se ne andrà a carte quarantotto molto più rapidamente di quanto si possa immaginare.
L’accettazione dell’attuale iperliberismo economico è un grave errore che potrebbe essere paragonato, ad esempio in campo giuridico, al riconoscimento della superiorità delle leggi della Natura sulle legislazioni degli uomini. Nell’ordine naturale dell’Universo vige incontrastata la “Legge del più forte”, ma la razza umana si è elevata sulla Natura ed ha scritto leggi che difendono i diritti di tutti, compresi i più deboli. E, alla fin fine, queste leggi, difendendo e costruendo una Società equilibrata e solidale, hanno portato enormi vantaggi a tutta la razza umana (compresi i più forti e i più ricchi); senza le leggi l’uomo forse vivrebbe ancora nelle caverne, o in condizioni poco migliori. I più forti avrebbero sì il dominio sugli altri, ma usufruirebbero anche di benefici e ricchezze enormemente inferiori, rispetto a quelle di cui possono godere, invece, in una società evoluta e dominata dalle regole civili.

Perché quindi non dovremmo imporre leggi, che tutelino i diritti e il benessere delle classi più deboli, anche al libero mercato?   Perché non dovremmo darci delle regole volte ad attenuare le attuali crescenti disuguaglianze? Sapendo poi che, alla lunga, queste regole faranno gli uomini più “Grandi” e porteranno anche enormi vantaggi e miglioramenti in benessere e ricchezza.

In questo libro descrivo la crisi mondiale, soprattutto dal punto di vista dell’economia, ma la globalizzazione e l’iperliberismo economico sono direttamente responsabili anche dell’inquinamento e di enormi danni ecologici. Tutto deriva ancora una volta dalla ricerca spasmodica della sempre più spinta competitività. Favoriti dal fatto che molte produzioni vengono realizzate in paesi del terzo (e quarto) mondo, dove le norme igieniche e ambientali sono molto blande, imprenditori e società multinazionali stanno inquinando allegramente e irresponsabilmente tutto l’ambiente, e distruggendo delicati equilibri ecologici.
E anche in paesi avanzati come il nostro, gli scandali legati a criminali smaltimenti irregolari di rifiuti sono all’ordine del giorno. Tutto ciò dimostra sempre di più l’estrema urgenza di un deciso e rivoluzionario cambio di passo.

La speranza di avere finalmente governi che guidino con saggezza l’economia e l’umanità verso traguardi di progresso e di equilibrio sociale ed ecologico, non è un’utopia, ma una necessità stringente e, allo stesso tempo, un’opportunità di immensa crescita. Se è vero che la storia ha dimostrato il fallimento dell’ideologia comunista, è anche vero che, negli ultimi venti anni, anche l’iperliberismo capitalista ha mostrato tutti i suoi limiti. Dobbiamo quindi cercare una terza via, che eviti gli eccessi delle passate ideologie, e che faccia rientrare le attuali insopportabili disuguaglianze sociali entro limiti accettabili.  Sono necessari un’equa distribuzione della ricchezza, un lavoro dignitoso per tutti e una decisa riduzione degli sprechi e dell’inquinamento ambientale. Vista l’attuale imperante corruzione, queste richieste possono sembrare inattuabili e incredibili, ma se l’alternativa deve essere una catastrofe finanziaria e sociale, torno a ripetere che non abbiamo altra scelta.

Voglio fare anche una digressione nel campo della politica. Il progressivo deterioramento delle condizioni economiche, sociali e ambientali, avvenuto negli ultimi 25 anni (con qualsiasi partito al governo e che, con alti e bassi, ha colpito tutte le nazioni) ha lentamente, ma inesorabilmente diffuso una estesa disaffezione e una tragica rassegnazione verso i politici in genere. I partiti che ne hanno sofferto maggiormente sono stati quelli dell’area di sinistra, ma ce n’è anche un evidente motivo:
La pressante e continua propaganda di media e istituzioni, tesa a convincere che la globalizzazione ed il libero mercato fossero ineluttabili e irrinunciabili, ha fatto presa sulla stragrande maggioranza della popolazione, compresi tecnici, amministratori e politici, sia di sinistra che di destra. I partiti di sinistra hanno quindi cercato di adattare i loro programmi a tale realtà, intanto dividendosi essenzialmente in riformisti e tradizionalisti. I primi evitano di combattere le istituzioni e le organizzazioni internazionali, adeguandosi alle loro richieste, per poi cercare di mantenere per quanto possibile le esistenti protezioni del welfare, ma allo stesso tempo favorendo la precarizzazione del lavoro (come già spiegato nelle pagine precedenti) per salvare l’occupazione (vedi il PD di Renzi, i laburisti di Blair, i democratici di Obama…). I secondi cercano, per quanto possibile, di mantenere i vecchi diritti e pensano di poter abbattere le disuguaglianze con una politica fiscale più rigida e mirata, con la guerra alla corruzione e agli sprechi, ma anche loro evitano di mettere in discussione la globalizzazione e l’appartenenza a unioni sovranazionali. Gli elettori, dal canto loro, disincantati dai modestissimi risultati raggiunti dai governi di sinistra e convinti a loro volta che la globalizzazione sia inarrestabile, preferiscono tentare i richiami populisti. Per molta gente la sinistra moderata e riformista è diventata simile alla vecchia Democrazia Cristiana e, in quanto alle sinistre più tradizionali, vengono equiparate al vecchio partito “Rifondazione Comunista” di Bertinotti, ai Laburisti di Corbin, ai Democratici di Sanders… ma troppo pochi gli danno davvero credito, in quanto giudicati essenzialmente anacronistici e incapaci di opporsi davvero all’attuale establishment.
(Leggetevi il blog di Alessandro Gilioli, intitolato “Piovono rane”, nel sito “gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it”, per avere una lucidissima analisi sulla decadenza della sinistra e sulla crescita dei populismi.)


Ma, come ho già spiegato globalizzazione, automazione e libero mercato distruggono più lavoro di quanto ne possano creare.  E la maggioranza delle persone se ne rende, più o meno consciamente, conto, pensando che la Sinistra non abbia più i mezzi e la forza per contrastare questa tendenza. Credo che i partiti di sinistra, per recuperare il consenso, dovrebbero mettere nei loro programmi almeno i seguenti provvedimenti (che spiegherò poi in dettaglio nel 4° capitolo del mio libro):

1) La chiusura delle frontiere commerciali ai paesi con basso costo della manodopera.

2) Il divieto alla delocalizzazione delle attività produttive

3) Il divieto di differenze retributive per mansioni equivalenti

4) La diminuzione dell’orario di lavoro (per tutte le categorie dipendenti), fino al riassorbimento della disoccupazione.

5) Il costo del lavoratore a tempo indeterminato deve essere minore di quello precario.

6) Obbligo per gli immigrati di rispettare tutte le suddette regole, pena l’immediata espulsione o il carcere (e per coloro che li assumono) di rispettare tutte le suddette regole, pena l’immediata espulsione o il carcere. (Per quanto riguarda le altre problematiche dell’immigrazione, vi invito a leggere il mio libro)

E dichiarare con forza che tali regole saranno sicuramente possibili e che potranno ridare a tutti il diritto ad un futuro dignitoso. Questo dovrebbe restituire la speranza nel futuro e ridare slancio alla Sinistra.

Tratteremo nel prosieguo tre importanti macro argomenti:

Primo: Gli errori commessi e i limiti naturali.
Dove analizzeremo   per prima cosa il limite naturale imposto dalla sovrappopolazione. che rende impossibile la crescita infinita voluta dall’ipercapitalismo e che prefigura una molto prossima carenza di materie prime e di risorse in genere. Fattori questi che renderanno presto tali limiti assolutamente invalicabili. Dopodiché ci addentreremo nei due grandi errori, causati da una miope e profondamente sbagliata applicazione dell’automazione e della globalizzazione: la mancanza di lavoro (o la sua estrema precarietà) e la crescente disuguaglianza.

Secondo: Le principali basi dell’economia.

Dove approfondiremo due principi base dell’economia:
1) Cos’è e come viene creata la ricchezza.
2) Come funziona la moneta necessaria per gli scambi.
Argomenti utili per capire le basi su cui si fondano le mie proposte.

Terzo: Le possibili soluzioni.
Non credo che esista una sola soluzione, ma vorrei provare a proporre un possibile complesso di interventi. Alcuni sono provvedimenti urgenti, che a mio parere sono ormai indifferibili E che, in mancanza dei quali (o quantomeno di una parte), la corsa verso il baratro potrebbe divenire presto inarrestabile (sei di questi li ho già brevemente anticipati nei righi precedenti).       

Altri sono rimedi strutturali, dei quali l’intera Umanità dovrebbe farsi carico al più presto possibile, altrimenti potremmo anche non avere più alcun futuro! E’ qui che ho proposto una soluzione che forse potrà restare solo utopistica, ma visto che in ogni caso dobbiamo parlare solo di interventi assolutamente rivoluzionari (altrimenti la catastrofe sarà solo rinviata), dobbiamo provare a chiedere l’impossibile. Così come lo ha sollecitato anche Curzio Maltese in un bell’articolo pubblicato nel Venerdì di Repubblica del 1 Luglio 2016, a pag. 7, dal titolo: “SIATE REALISTI, CHIEDETE L’IMPOSSIBILE. IN PASSATO HA FUNZIONATO”.

famosi ed ascoltati, che propongono soluzioni non molto dissimili dalla mia. Siamo tutti inguaribili sognatori? O forse il nostro pensiero, le nostre utopie e i nostri sogni sono ormai l’ultima speranza dell’Umanità e la sua “Ultima Missione”?

 

Link a siti web, libri e articoli di giornale :

Rapporti Oxfam

Rapporto Oxfam 2015:
https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2015/01/Paper-Davos-2015_finale.pdf

Rapporto Oxfam 2016:
https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2016/01/Rapporto-Oxfam-Gennaio-2016_-Un-Economia-per-lunopercento.pdf

Rapporto Oxfam 2017:
https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2017/01/Rapporto-Uneconomia-per-il-99-percento_gennaio-2017.pdf

Rapporto Oxfam 2018:
https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2018/01/Rapporto-Davos-2018.-Ricompensare-il-Lavoro-Non-la-Ricchezza.pdf

 

Automazione e Robot

Felici tra i robot (di Alessandro Gilioli – L’Espresso del 24/12/2016)
http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2016/12/22/news/felici-tra-i-robot-1.291953

Globalizzazione e Capitalismo

Capitalismo – Manuale di manutenzione (di Andrew Spannau – L’Espresso del 9/7/2017)
http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2017/07/07/news/la-crisi-non-finisce-servono-nuove-ricette-1.305693
E Davos celebra il divorzio tra democrazia e libero mercato (di Tonia Mastrobuoni – >La Repubblica del 24/1/2018)
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/01/24/e-davos-celebra-il-divorzio-tra-democrazia-e-libero-mercato06.html?ref=search

Ecologia e Ambiente

Il cibo è roba seria, mica roba da Expo (di Corrado Griffa – 29/7/2015 Sito Web)
http://ilblogdisodocaustico.blogspot.it/2015/07/siamo-quello-che-mangiamo.html

Disuguaglianze e Povertà

La bomba ad orologeria delle disuguaglianze (di Giuseppe Turani – La Repubblica del 12/9/2004)
http://www.repubblica.it/online/lf_dietro_il_listino/040913politica/politica/politica.html
Quei figli più poveri dei padri – Gli anni Duemila come il Dopoguerra (di Federico Rampini – La Repubblica del 13/8/2016
http://www.repubblica.it/online/lf_dietro_il_listino/040913politica/politica/politica.html
Quell’un per cento che prende tutto (di Barbara Ardù – La Repubblica del 22/1/2018)
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/01/22/quellun-per-cento-che-prende-tutto04.html?ref=search

Teorie Economiche

Ricordando Maurice Allais (di Francesco Bevilacqua – 13/12/2010 Sito Web)
http://www.ilcambiamento.it/articoli/ricordando_maurice_allais

Previsioni per il futuro

2052 – Rapporto al Club di Roma (di Jorgen Randers – Edito nel 2013 da Edizioni Ambiente) 
Un ottimo libro per stimolare le più opportune riflessioni
Siate realisti, chiedete l’impossibile: in passato ha funzionato (di Curzio Maltese – Il Venerdì di Repubblica del 1/7/2016)
https://bresciaanticapitalista.com/2016/07/05/siate-realisti-chiedete-limpossibile-in-passato-ha-funzionato/